La morte imminente del retail tradizionale è stata annunciata molte volte nell’ultimo decennio e la responsabilità dell’omicidio è stata attribuita principalmente ai giganti dell’e-commerce e dello shopping online. Dal 2017 le previsioni in tal senso sono aumentate drasticamente e sono stati pubblicati innumerevoli articoli a sostegno della tesi secondo cui l’e-commerce aveva raggiunto il punto della svolta decisiva, il cosiddetto tipping point. A dispetto di quelle previsioni fatalistiche, tuttavia, molti retailer tradizionali hanno mantenuto fatturati tutt’altro che disprezzabili, anche se con redditività ridotta. Almeno fino al COVID-19. Potrebbe essere la pandemia ad assestare il colpo di grazia al commercio tradizionale?

Per accertarlo, dobbiamo prima stabilire cosa s’intende con tipping point. Una rapida ricerca su Google restituisce questa definizione: Il punto in cui una serie di piccoli cambiamenti o episodi diventa abbastanza significativa da produrre un cambiamento più grande e più importante”. Dunque un tipping point, dal punto di vista del commercio, è il punto in cui un numero sufficiente di persone modifica le proprie abitudini d’acquisto passando dal negozio fisico a quello online. Ma qual è il “numero sufficiente” che rappresenta questo importante cambiamento? A mio avviso, si tratta del punto in cui lo shopping online diventa la norma per il mercato di massa, il punto in cui viene “attraversato il burrone” tra mercato di nicchia e mainstream, il punto in cui la gente acquista online “la maggior parte delle cose” e non più solo “alcune cose”. La metafora del burrone è tratta da un famoso libro di marketing del 1991, il cui l’autore Geoffrey Moore descriveva la diffusione delle innovazioni nella società e ipotizzava l’esistenza di un “burrone” tra i consumatori disposti ad accettare i rischi (gli “innovatori” e i “primi utilizzatori”) e la maggioranza costituita da prudenti e pragmatici.

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La curva di Gauss della diffusione dell’innovazione proposta da Geoffrey Moore.

Spesso le innovazioni penetrano nel mercato in modo lento e ingannevole, ma quando attraversano il burrone e vengono adottate dalla maggioranza iniziale, acquistano rapidamente una forza dirompente e attirano i consumatori allontanandoli dalle tecnologie precedenti. Secondo le stime di Moore, circa il 2,5% del mercato è costituito da innovatori e il 13,5% da primi utilizzatori, dunque per “attraversare il burrone” un prodotto deve avere una penetrazione e un’accettazione nel mercato superiore al 16%. Le innovazioni che non attraversano il burrone per diventare mainstream restano confinate in una nicchia oppure, più probabilmente, scompaiono.

Trend globale

Se consideriamo l’attraversamento del burrone come il tipping point e il 16% come il numero magico, possiamo prevedere che il 2020 sia l’anno in cui l’e-commerce attraverserà il burrone” a livello mondiale, raggiungendo il 16,1% del fatturato retail totale, contro il 14,1% del 2019. Questo 16,1% equivale a 4.206 dei 26.074 trilioni di dollari che costituiscono il valore del mercato retail nel 2020.[i]

 

A close up of a map

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Fonte: Statista. Quota e-commerce del fatturato retail totale nel mondo, 2015-2023.

Si potrebbe presumere che gli Stati Uniti siano i principali artefici di questa transizione. Nel 2019, l’incremento della quota di mercato dell’e-commerce negli USA ha raggiunto due traguardi fondamentali. Il primo: è aumentato in doppia cifra per il decimo anno consecutivo. Il secondo: per la prima volta ha superato la quota del 10% del fatturato totale nazionale. Se gli Stati Uniti hanno appena raggiunto il 10%, è evidente che l’incremento del 16,1% dell’e-commerce a livello mondiale non dipenda dagli USA, ma da altri paesi. In realtà la quota USA dell’e-commerce globale è in calo, dato che si sta riscontrando un incremento del nuovo stile di shopping in molti altri stati, soprattutto in Asia. La Cina, con un fatturato di 667 miliardi di dollari, è oggi il leader indiscusso dell’e-commerce. Lo spostamento del potere d’acquisto dagli USA e dall’Europa alla Cina e al sud-est asiatico è alimentato dal crescente numero di consumatori asiatici che ottengono l’accesso all’e-commerce grazie all’aumento del loro potere d’acquisto e della penetrazione di Internet, soprattutto nei dispositivi mobili.

Il vero inizio della fine del retail tradizionale

Negli Stati Uniti e in altri mercati che hanno seguito quel trend, la transizione ha causato quella che è stata definita una “apocalisse del retail”. In poco più di tre mesi, quattordici catene di retail hanno annunciato che avrebbero richiesto la procedura di liquidazione e molte altre hanno chiuso centinaia di negozi per tentare di tornare alla redditività. Il 2017 è stato un anno record per la chiusura di negozi nel Regno Unito e negli USA. Nel 2018 e nel 2019 quel record è stato nuovamente superato, con 9.300 chiusure soltanto negli Stati Uniti.[ii] Molti retailer in difficoltà sono diventati il bersaglio di società di private equity, che per recuperare la redditività hanno fatto ricorso a licenziamenti e riduzioni degli stipendi e dei benefici per i dipendenti. Negli Stati Uniti, più di 80 dei principali retailer sono stati acquisiti da società di private equity e hedge fund e nell’ultimo decennio più di 1,3 milioni di dipendenti di queste aziende hanno perso il lavoro.[iii] Quando i piccoli negozi muoiono, naturalmente muoiono anche i centri commerciali che li ospitano. Secondo unindagine del 2017 di Credit Suisse, il 20-25% dei centri commerciali chiuderà entro il 2022 e molti saranno trasformati dai giganti dell’e-commerce in enormi centri di distribuzione per il principale architetto di questa trasformazione: Amazon.

L’ascesa del negozio universale online

Mentre i commercianti tradizionali annaspavano, i retailer online della nuova ondata, a cominciare dal colosso Amazon, prosperavano. Nei paesi in cui è operativo, Amazon non si è limitato ad affiancare gli altri retailer, ma è diventato il principale mercato online, il negozio universale dove si può acquistare tutto e riceverlo a casa il giorno dopo. Questa crescita non dà segni di rallentamento: nel 2019 Amazon ha registrato ricevi netti pari a 280,52 miliardi di dollari, mentre nel primo trimestre del 2020 i ricavi sono stati pari a 75,42 miliardi, l’equivalente di un aumento oltre il 26% del fatturato mondiale anno su anno.[iv] Dopo gli Stati Uniti, il mercato più grande è la Germania, dove Amazon ha un fatturato netto di 22 miliardi di dollari, mentre al terzo posto troviamo il Regno Unito, con 17,53 miliardi.

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Fonte: Statista. Ricavi netti di Amazon suddivisi per paesi.

Può la crescita di Amazon esemplificare l’ascesa dell’e-commerce come trend in tutta Europa? E che impatto ha avuto la pandemia di COVID-19 in questa transizione?

Il recupero dell’Europa

La risposta è sì, ma non è tutto così semplice. La strabiliante crescita di Amazon è chiaramente sintomatica di una transizione più ampia verso l’e-commerce, dato che la comodità di poter acquistare quasi tutto in un unico negozio, senza muoversi da casa propria, diventa sempre più allettante per una popolazione con problemi di tempo. Anche in Europa l’adozione dell’e-commerce cresce a una velocità straordinaria: +13,6% nel 2019. Indubbiamente la presenza diretta di Amazon nel Regno Unito e in Germania, i due mercati più grandi d’Europa, ha trainato la crescita dell’e-commerce. Il Regno Unito, con la sua alta densità di popolazione e una società altamente digitalizzata (secondo le previsioni, il 96% della popolazione avrà accesso a Internet entro quest’anno), è di gran lunga il mercato di e-commerce B2C più grande in Europa, con un fatturato previsto per il 2020 di 222,5 miliardi di euro.[v] Anche i consumatori dei paesi scandinavi, grazie alla loro ricchezza e alla loro cultura digitale, sono utenti assidui dei siti di e-commerce: il 62% della popolazione scandinava acquista prodotti online ogni mese.[vi] I paesi dell’Europa settentrionale sono anche quelli che spendono di più nei negozi online: 2.046 euro l’anno pro capite (2018) contro una media europea di 1.346 euro.[vii] L’e-commerce è in rapida crescita anche in Europa Centrale, in particolare in Repubblica Ceca, che nel 2019 è stato il paese europeo con il maggiore incremento: il suo mercato e-commerce valeva 4,4 miliardi di euro e, secondo le proiezioni, dovrebbe espandersi a un tasso annuale complessivo del 16% nel 2021.

L’e-commerce registra i numeri più bassi nell’Europa dell’est, dove nel 2018 meno del 26% dei consumatori ricorreva a questo canale, contro l’85% del Regno Unito. Tuttavia, i paesi di questa regione stanno guadagnando rapidamente terreno e le vendite online continuano a crescere ogni anno in doppia cifra. Il principale mercato è la Russia, dove secondo le proiezioni l’e-commerce B2C potrebbe raddoppiare il fatturato tra il 2019 e il 2023.

Ovviamente uno dei principali fattori trainanti dell’e-commerce è la diffusione di Internet. L’Europa settentrionale ha la percentuale più alta di utenza, l’Europa orientale la più bassa. La crescita è comunque costante in tutto il continente e la diffusione media prevista è passata dal 75,77% all’82,49% negli ultimi 5 anni. L’uso quotidiano di Internet è aumentato in quasi tutti i paesi dell’UE-28: negli ultimi tre anni i principali incrementi hanno interessato Croazia, Irlanda, Slovacchia, Macedonia del Nord e Romania (quest’ultima e la Bulgaria hanno tuttora la percentuale più bassa di uso quotidiano di Internet, rispettivamente del 57% e del 60%).[viii]

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Tutte queste cifre e previsioni si riferiscono però al periodo precedente la pandemia di COVID-19.

COVID-19: accelerazione dell’e-commerce?

La pandemia di coronavirus è destinata a cambiare molti dei paradigmi esistenti sul piano sociale, economico e tecnologico, producendo un forte impatto sulle nostre abitudini di lavoro e di consumo. Il risultato sarà un’accelerazione dell’estensione e della velocità dell’e-commerce in tutta Europa, principalmente in tre modi:

  1. Accelerazione dell’adozione di Internet

La pandemia ha costretto la popolazione a vivere in isolamento ed evitare i luoghi affollati, forzandola quindi a imparare a ordinare online, a lavorare in smart working e a dedicarsi ad attività individuali e non collettive. Bambini e studenti seguono le lezioni tramite Zoom, le palestre offrono servizi virtuali, bar e ristoranti offrono servizi di consegna a domicilio e asporto, i nuovi film vengono lanciati tramite i siti di streaming: praticamente ogni azienda ha dovuto ripensare il proprio modello di business o i propri metodi di lavoro, accelerando così la rivoluzione digitale e online. Queste scelte hanno scarsa utilità per chi non usa Internet, di conseguenza molti dei “ritardatari” di Internet, specialmente quelli in età avanzata, avranno riscontrato diverse difficoltà. Qualsiasi rimasuglio di resistenza all’adozione di Internet sarà probabilmente abbandonato per motivi di mera necessità, come il bisogno di acquistare beni di consumo, comunicare con amici e familiari, lavorare da remoto superando eventuali disagi o reticenze nei confronti del passaggio dalle attività fisiche a quelle digitali. L’isolamento imposto dai governi in questo periodo è già di per sé spiacevole, senza connessione Internet diventa quasi intollerabile. Per questi motivi possiamo attenderci un’impennata nelle percentuali di adozione di Internet e di installazioni e aggiornamenti alla banda larga; un trend che punta in un’unica direzione.

  1. Accelerazione della transizione dallo shopping fisico all’e-commerce

La chiusura imposta della maggior parte dei rivenditori e dei ristoranti ha probabilmente ridotto di cinque anni il tempo che l’e-commerce avrebbe impiegato per passare dalla maggioranza iniziale alla maggioranza tardiva. I “ritardatari di Internet”, come le popolazioni dell’Europa centrale, meridionale e orientale, sono stati costretti a ricorrere subito all’e-commerce, anziché attendere la sua diffusione capillare e il suo naturale “attraversamento del burrone” verso il mainstream. Non si tratta di un picco temporaneo: in un mondo in cui bisogna rimanere a casa e non ricevere visite, molte persone che avrebbero formato la maggioranza tardiva e i ritardatari sono costrette a fare acquisti online perché rientrano nelle cosiddette categorie a rischio. Queste persone stanno quindi sperimentando la comodità dell’e-commerce per la prima volta, e non sarà l’ultima. Per molte di esse, le vecchie abitudini di “spesa settimanale” saranno viste come uno dei lavori ingrati di una volta, un ricordo di una vita fatta di scomodità e lavoro manuale, un po’ come battere i tappeti e lavare a mano i vestiti. Anche dopo la fine del picco pandemico, le persone saranno ormai abituate a evitare gli assembramenti, a non viaggiare se non in casi di assoluta necessità, a divertirsi a casa propria, a usare lo shopping online, a ordinare pasti e prodotti alimentari con consegna a domicilio, e così via. Il disagio nei confronti degli assembramenti di persone rappresenterà probabilmente il colpo di grazia per molti dei retailer privi di una presenza online convincente o incapaci di comunicare ai consumatori il maggior valore dei loro servizi rispetto a quelli di grandi rivenditori online come Amazon. La fine di questi retailer si ripercuoterà sui centri commerciali sopravvissuti, che diventeranno testimonianze spettrali e anacronistiche della rivoluzione dello shopping del XX secolo, in attesa di essere demoliti o trasformati in centri di distribuzione dell’e-commerce.

  1. Accelerazione delle rivoluzioni dell’automazione e dei pagamenti senza contanti

Uno dei principali ostacoli alla diffusione dell’e-commerce è il fatto che molte persone (soprattutto quelle che rientrano per natura nella categoria dei ritardatari) sono cresciute in un mondo in cui i pagamenti avvenivano in contanti e in moneta fisica e non si fidano dei metodi di pagamento digitale. Un’alta percentuale della popolazione europea ha un’età relativamente avanzata e questa categoria demografica costituisce la maggior parte dei ritardatari digitali. Questo fattore è presente soprattutto nei paesi dell’Europa centrale e orientale. Nella Repubblica Ceca, per esempio, il 45% delle transazioni avviene in contanti.[ix] È ovvio che questo fattore influenza l’e-commerce, il quale è basato su un processo interamente digitale e cashless. Oggi i pagamenti in contanti – con monete e banconote toccate da innumerevoli mani – sono considerati un incubo biologico. Perfino i pagamenti tramite carta di credito o debito sono considerati rischiosi, dato che costringono a premere tasti già toccati da molti altri acquirenti potenzialmente infetti. Anche le regole di distanziamento sociale rendono problematico il semplice gesto di consegnare del denaro, visto che per farlo bisogna avvicinarsi a qualcuno. Per questi motivi, perfino i più lenti tra i ritardatari sono costretti a superare la naturale resistenza che potrebbero avere nei confronti dei pagamenti digitali e contactless e a sviluppare una preferenza per questi metodi. Inoltre, l’aumento delle persone che sperimentano la comodità di ordinare da casa, a cui si aggiunge il desiderio di evitare il contatto fisico o il contatto dei prodotti con altre persone, farà decollare la richiesta di consegne automatizzate on-demand. L’Europa, tra l’altro, deve affrontare numerose sfide nel campo delle infrastrutture, dato che, contrariamente agli Stati Uniti e alla Cina, la maggior parte delle sue reti stradali, soprattutto nei centri storici, è stata costruita in epoche antecedenti le automobili e dunque di difficile accessibilità. Inoltre, molte zone dell’Europa centrale e orientale sono prevalentemente rurali e quindi non convenienti per l’e-commerce che usa metodi di consegna tradizionali. La crescente domanda di logistica omnicanale velocizzerà la sperimentazione e l’adozione di soluzioni dell’ultimo miglio basate su droni e robot capaci di consegnare i prodotti in modi rapidi, biologicamente sicuri e non troppo dispendiosi.

Conclusione

Nei prossimi mesi possiamo attenderci un picco significativo nella diffusione dell’e-commerce, il quale attraverserà il burrone che lo separa dal mainstream in un tempo decisamente ridotto rispetto alle previsioni più ottimistiche del 2019. Il 2020 non sarà ricordato soltanto come l’anno della pandemia, ma anche come l’anno del cambiamento dei paradigmi del consumo, l’anno in cui l’e-commerce ha raggiunto il suo tipping point e ha attraversato il burrone. La curva del mercato di massa verrà innalzata e ristretta, e soltanto i ritardatari più assidui continueranno ad essere tali.

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È quindi assolutamente indispensabile che, per mantenere un certo peso commerciale, i retailer accettino il fatto che l’e-commerce diventerà il canale preferenziale per molti dei propri clienti e che dovranno adottare metodi di consegna rapidi, affidabili e incentrati sul consumatore, adattando di conseguenza le proprie attività operative e logistiche. I tempi dell’e-commerce pianificati prima della pandemia dovranno essere rivalutati e l’implementazione prevista dovrà essere accelerata. Infine, è di primaria importanza che ogni azienda B2C, dai retailer ai ristoratori, crei modelli di business focalizzati sulla creazione di proposte capaci di dare un valore aggiunto unico ai loro canali fisici e digitali, così da superare le sfide degli Amazon del mondo.

Articolo pubblicato per conto di P3 da futurologo:

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[i] Ecommerce Share of Retail Sales (2017 – 2023)’; Oberlo. https://www.oberlo.co.uk/statistics/e-commerce-share-of-retail-sales

[ii] Lauren Thomas; ‘Retailers announced record store closures in 2019. Here’s a list’, CNBC, 21 dicembre 2019

[iii] Bethany Biron; ‘The last decade was devastating for the retail industry. Here's how the retail apocalypse played out.’, Business Insider, 23 dicembre 2019

[iv] Don Davis; ‘Amazon’s North America sales surge 29% in Q1 as coronavirus drives demand’, Digital Commerce 360, 30 aprile 2020

[v]Ecommerce in UK to reach €222 billion in 2020’, Ecommerce News Europe, 10 aprile 2020

[vi] ‘A Complete Guide On eCommerce In Nordic Region’; 22 maggio 2020 https://cedcommerce.com/blog/e-commerce-in-nordic-region/

[vii] Ecommerce in Europe: €621 billion in 2019’, Ecommerce News Europe, 11 luglio 2019 https://e-commercenews.eu/e-commerce-in-europe-e621-billion-in-2019/

[viii] Dennis Schmid; ‘Daily internet usage in European countries 2017-2019’; Statista, 20 marzo 2020

[ix] Claudia Patricolo; ‘Czech Republic is Europe’s fastest-growing e-commerce market’; Emerging Europe, 22 luglio 2019 https://emerging-europe.com/business/czech-republic-is-europes-fastest-growing-e-commerce-market/